A caccia di sogni con Moby Dick e il capitano Achab
Inseguire l’irraggiungibile e riuscire perfino a raggiungerlo perché l’effetto della monomania è esattamente questo! Ci porta fino a ben oltre i confini del mondo, per arrivare anche solo a sfiorare quello che davvero desideriamo.
E se abbiamo una buona ciurma al nostro fianco rischiamo davvero di raggiungere quello che era irraggiungibile per un singolo uomo.
Insomma l’unione fa la forza no?!
14 NOVEMBRE 2023 – TORINO
Moby Dick di Herman Melville. Ecco la mia recensione.
Ho letto Moby Dick per la prima volta a 34 anni ossia due anni più “vecchia” rispetto ai 32 anni dell’autore quando scrisse quello che è divenuto uno dei capolavori della letteratura americana. Ciò nonostante inizialmente questo libro non incontrò i consensi della critica e nemmeno del pubblico e tant’è che segnò la fine della carriera di Hermann Melville.
Morto nel 1891 si dovrà aspettare e gli anni 20 del novecento per trovare una nuova occasione di stampa dell’opera, che venne tradotta in italiano per la prima volta soltanto nel 1930 da Cesare Pavese e pubblicata postuma nel 1932.
Cercavo una lettura leggera…
…invece ho scelto Moby Dick di Herman Melville!
Perdonami la citazione da Harry Potter e la pietra filosofale ma calza alla perfezione! Digressioni fantasy a parte, ho acquistato questo libro di passaggio alla stazione Termini di Roma, e nonostante non avessi più spazio in valigia e nemmeno nello zaino ho voluto portare con me questo volume di quasi 700 pagine nell’edizione illustrata BUR Deluxe che ho scelto.
Inconsapevolmente, stavo cominciando un viaggio “di vita”, e ora quel “viaggio” si è concluso insieme alla lettura di questo librone decisamente arduo da leggere.
Nell’acquisto onestamente mi sono fatta molto conquistare dalla bellezza delle illustrazioni e in generale dall’estetica di questa edizione Bur Deluxe, e anche dal fatto di pensare “non è possibile che ancora non ho letto Moby Dick”. Fatto sta che la combinazione del numero consistente di pagine e i repentini cambi che ha conosciuto la mia vita nei due anni che hanno seguito l’acquisto di Moby Dick, hanno fatto sì che io rimandassi la lettura a favore di libri più brevi che non superassero le 450 pagine e che fossero anche più scorrevoli. Vero è che ho molto preferito la poesia ai romanzi in generale.
Soltanto chi è codardo abbassa la testa durante la tempesta
pag .613
Ma come sempre i libri seguono le mie evoluzioni di vita e così nel mentre che un capitolo intenso della mia vita volgeva al termine, ho voluto cimentarmi dopo tanto tempo, in una lettura impegnativa come appunto è quella di Moby Dick di Herman Melville. Probabilmente il libro più lungo che ho letto prima di questo è stato I pilastri della terra di Ken Follett con le sue 650 pagine (infinitamente più scorrevole), ma a conti fatti è stato per me è molto piacevole avere tra le mani un libro così duraturo, per me che ho l’abitudine di divorarli.
Il capolavoro di Herman Melville, Moby Dick, viene interpretato in svariati modi tra cui anche la metafora fra bene e male. Personalmente scelgo la metafora della vita ed in un certo senso, nella sua lenta progressione sono avanzata tra i flutti della mia vita, almeno quelli tra i più ostici che mi rimanevano da navigare per concludere gli ultimi due anni così intensi e sfiancanti.
Essendo un racconto d’avventura mi aspettavo un ritmo incalzante e che quindi anche la lettura avanzasse in maniera veloce, ma non è stato così. Facendoci quasi perdere e disorientare nel calderone nozionistico che Ismaele ci propone, Melville sembra quasi volerci far entrare in una in uno stato di attesa e pazienza quasi come fossimo anche noi uno dei marinai imbarcati sul Pequod: la baleniera capitanata dal celeberrimo Capitano Achab.
Un inno dunque alla pazienza, alla perseveranza e alla fede.
E non è forse ciò che la vita ci richiede? (compreso il nostro personale modo di intendere la parola la fede…)
…come se fossimo in una locanda con Ismaele
L’autore così comincia: “chiamatemi Ismaele“; in questo modo oltre a creare un rapporto quasi confidenziale con il lettore, come se appunto ci si trovasse all’interno di un locanda a parlare a tu per tu con questo narratore. Costui di fatto è anche testimone delle vicende che egli stesso narra, e in questa sua quasi plateale presentazione, evoca quella sensazione che si prova all’inizio di ogni viaggio quando siamo sovrastati dal pathos e dalla fame di avventura.
Ma i viaggi lunghi così come le lunghe letture, incappano naturalmente in battute d’arresto, dove quasi sfiduciati semplicemente ci lasciamo cullare dal moto oscillatorio che i flutti impongono alla nostra imbarcazione, che di fatto è la nostra stessa vita.
Leggendo Moby Dick ci si rende conto che è complesso rimanere costantemente appassionati e coinvolti nella lettura. Al pari della vita quando c’è “calma piatta” continuiamo nella quiete della nostra navigazione e ci ritroviamo, nostro malgrado, ad attendere il grido:
“Laggiù soffia! Laggiù soffia! La gobba come un mucchio di neve! È Moby Dick!»
…quasi avessimo bisogno di uno scossone esterno a distrarci da quel torpore in cui siamo caduti.
Sì, la vita è il Pequod e il Pequod è la vita perché se ben governata ogni nave come ogni esistenza ci porta esattamente dove vogliamo andare.
Genesi Moby Dick
Per quanto al limite dell’immaginario possa essere l’avventura del capitano Achab della sua ciurma e della monomania per Moby Dick, la genesi di questa storia è riconducibile a due eventi realmente esistiti. Il primo l’affondamento nel 1820 della baleniera Essex di Nantucket che fondò a seguito di un urto con capodoglio. Il secondo evento fu l’uccisione intorno al 1830 del capodoglio albino Mocha Dick.
Fatti storici che hanno fatto intraprendere un lungo viaggio a Herman Melville nella sua stessa immaginazione al punto che ancora oggi, noi navighiamo quelle stesse acque in cerca della nostra personale balena bianca.
La lotta tra bene e male e il puritanesimo di Melville
Differentemente da Nathaniel Hawthorne autore de La lettera scarlatta, Herman Melville era invece dichiaratamente puritano. Questo suo mentalità e appartenenza al movimento inglese sorto nel XVI secolo, farà sì che lo stesso Melville considererò il suo Moby Dick come un libro “del male”. La dicotomia tra bene e male, è ben esemplificata all’interno nel nel “personaggio” stesso di Moby Dick: pur essendo completamente bianca, questa è di fatto la più tremenda e devastante delle creature marine.
Già nei primi capitoli troviamo appunto questa riflessione sul significato del colore bianco sin dall’antichità dei tempi, che però contrasta all’interno di questa narrazione con la natura malevola della balena bianca. Ma il bene e il male non sono non vengono fatti emergere soltanto narrando di Moby Dick, ma anche affrontando quella che è la natura umana che costantemente è in bilico tra questi due poli diametralmente opposti.
Soprattutto quando si va a caccia di ciò che desideriamo di più al mondo.
Morale di Moby Dick (almeno la mia)
Da un libro così carico di episodi e dettagli non possiamo che trarre almeno due riflessioni significative.
La prima nasce dal termine con cui Melville definisce l’ossessione del capitano Achab per Moby Dick: la sua monomania. Credo che sia la prima volta che leggo in un libro questo termine, fatto sta che ciascun essere umano per sentirsi vivo e affrontare davvero qualunque viaggio e qualunque prova, deve necessariamente avere un obiettivo che sia davvero più grande di lui.
Solo così si avrà la forza e l’ingegno per superare i propri limiti e trovare soluzioni, anche dove apparentemente non ci sono.
La seconda riflessione è che se da un lato avere una “magnifica ossessione” è benefico perché appunto ci spinge oltre i nostri limiti, dall’altro se scegliamo un obiettivo che è davvero troppo distante e lo vogliamo in breve tempo, o meglio in un momento in cui al di là del nostro ardente desiderio, ancora non siamo pronti per “catturarlo”, rischiamo di confrontarci con la realtà di venire sopraffatti dalla vastità dell’oceano. O dalla forza della Balena Bianca di cui rischiamo di diventare prede.
Qual’è quindi la vera morale per il lettore moderno di Moby Dick, al di là delle dotte interpretazioni? Prestare attenzione affinché quelli che sono i nostri obiettivi non diventino la nostra stessa agonia e prigione.
La parabola del capitano Achab, secondo la Spinelli, è anche la narrazione metaforica della cultura americana, il desiderio di «avere qualcosa di significativo da cercare e da dire nel mondo. È il desiderio cui viene dato il nome di eccezionalismo americano […] L’eccezionalismo può trasformarsi in dismisura come nel capitano Achab» (p. 45).
Info bibliografiche
Titolo originale: The Whale
Autore: Herman Melville
Prima pubblicazione: 18 ottobre 1851
La mia edizione: 2 aprile 2015
Editore italiano: Rizzoli
Collana: BUR Classici BUR Deluxe
Genere: Romanzo, Avventura
Numero di pagine: 703 p., ill. , Brossura
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