Non a caso lo stesso Hermann Hesse ha definito questo suo romanzo un poema indiano (da ricordare in tal senso le origini tedesche dell’autore!), perché è intriso in ogni momento di quelle riflessione tipiche delle dottrine indiane di cui il Buddha, qui Gotama, è nel nostro occidente certamente la figura più emblematica dell’approccio spirituale e ancor di più olistico tipico di Madre India.
Va da sé che l’ambientazione è dunque quella indiana; eppure a noi occidentali ci approcciamo forse con una certa arroganza ad un testo come è il Siddharta di Hermann Hesse, perché lo osserviamo con gli occhi occidentali. Ad esempio io non avevo idea di cosa fosse un Brahmino, del suo abbigliamento e dell’importanza all’interno di una comunità. Dunque quello che ho fatto, è stato cercare un’immagine che rappresentasse questa figura, e ho immediatamente compreso che, fuorviata dalla bellissima copertina della mia edizione Adelphi del 1975, non mi figuravo al meglio l’ambientazione effettiva, immaginando “quasi” degli ambienti rinascimentali.
Ecco quindi un caso perfetto del celebre detto “Non si giudica un libro dalla copertina”… o almeno non si dovrebbe!
Certo è vero che Hermann Hesse non fornisce in maniera esaustiva descrizioni ambientali, eppure il lettore riesce perfettamente ad “entrare” nei luoghi quasi mistici che ci propone, siano pure quelli del “giardino delle delizie“, proprio a dimostrare che persino la più terrena e carnale delle cose, può e anzi dovrebbe essere vissuta con uno spirito di molto più elevato, rispetto a quello che noi occidentali siamo abituati ad avere.
A conti fatti credo che gli insegnamenti più significativi di questo romanzo, che mi è rimasto nel cuore, siano come già detto: (1) l’importanza di imparare ad ascoltare noi stessi, (2) il valore dell’amicizia che lega due persone a prescindere dalla parentela (vedasi tanto Govinda quanto Vasudeva), e (3) la capacità di vivere una vita ascetica anche negli agi terreni perché conquistare la propria serenità non implica la rinuncia a tutto ciò che è materiale, quanto piuttosto la capacità di non esserne schiavi ma anzi piegare il materiale al benessere dello spirito.
Nella mia “lettura” sono altri tre i punti cardine che il Siddharta di Hesse ci propone ossia (4) il ruolo genitoriale che tanto “un” padre quanto “una” madre sono chiamati ad assolvere nell’interesse del figlio, e in parallelo il sentimento di rispetto che un genitore ispira nel figlio, in funzione el suo stesso essere e modo di stare nel mondo.
E ovviamente (5) l’amore, che persino nella sua più carnale espressione come è quella tra Kamala e Siddharta, è da analizzare in termini tantrici poiché l’unione dei due trascende la corporeità, ed è ancor di più unione spirituale, esperenziale e di stima reciproca…come una danza che ora è lenta ora veloce, ma che avviluppa i due amanti nelle sue molteplici forme, dando ad entrambi il piacere dell’una e dell’altro.